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Reggio Emilia, 13 febbraio 2008
E siamo a sedici. Grande festa nel week end a Novellara per il popolo «nomade» di tutto lo Stivale con quello che è ormai diventato un rito collettivo, da consumarsi insieme, con le canzoni immortali della band più longeva e più genuina del panorama musicale italiano. Già, perché il «Nomadincontro-XVI°Tributo ad Augusto» non è solo un grande spettacolo al servizio di un’utenza sempre più trasversale, ma anche un momento di aggregazione, dove s’intrecciano progetti di solidarietà, amicizia mixati - come è naturale che sia - alla musica degli inossidabili musicisti emiliani. A trarre un bilancio di questi 45 anni di carriera e di 16 di «Tributo» (quest’anno, andrà a Roberto Vecchioni) è ovviamente Beppe Carletti, anima del gruppo, nonché unico superstite del nucleo originale.
Con questo «Nomadincontro 2008» siamo alla boa dei 16 anni di vita, non è facile…
«Un traguardo che non mi sarei mai aspettato di raggiungere. Ma il merito e lo dico col cuore va tutto alla gente e ad un affetto che cresce di anno in anno».
Ce lo dica una volta per tutte: qual è il vostro segreto?
«La nostra musica che rispecchia in pieno il nostro modo di essere. Dei Nomadi si può dire o scrivere di tutto ma nessuno potrà mai dire che ce la tiriamo o che
siamo distanti dal nostro pubblico. La ricetta è quella di non avere maschere, di essere noi stessi fino in fondo». Nel vostro lungo percorso, a causa di alcuni brani che affrontavano eventi realmente accaduti come la Guerra del Golfo o che guardavano alla situazione politica e sociale cilena, siete spesso stati considerati una band dichiaratamente di sinistra.
«La verità è che con le nostre canzoni non ci siamo mai schierati politicamente. Ci siamo sempre limitati a portare avanti le nostre idee di pace e di uguaglianza. E’ ovvio che ognuno di noi abbia poi precise idee politiche… ma la musica no, quella è per tutti. E abbiamo cantato ovunque, dalle feste dell’Unità agli oratori, anche in piazza San Pietro a Roma. Poi, secondo me, certi valori preziosi come la libertà, devono essere né a destra né a sinistra ma devono essere universali».
Una carriera lastricata di successi, ma come ricorda i momenti bui?
«Abbiamo passato anni duri, in cui eravamo fuori dal grande giro, senza una casa discografica, ma suonavamo lo stesso: nelle piazze, nei campi sportivi. E il nostro pubblico ci seguiva sempre. Il momento più brutto, quello che ci ha segnato profondamente, è stato nel 1992, con la morte del grande Augusto e la perdita di un altro compagno di viaggio: Dante Pergreffi».
Ma anche tante soddisfazioni: vittoria a Sanremo 2006 nella sezione “Gruppi” e un album nuovo di zecca con una grande orchestra…
«E’ stato un sogno, pensi che non avevamo mai vinto niente. E questo doppio-live con l’Omnia Orchestra di Brescia ci ha dato tante soddisfazioni: abbiamo realizzato un progetto che da tanti anni avevamo nel cassetto».
Qualche sogno irrealizzato?
«Nel ’92, quando già Augusto stava male, ci era giunta la voce che la grande Mina voleva duettare con lui, ma purtroppo, la salute di ‘Ago’ era già compromessa e non se fece niente».
Provi a definire con qualche aggettivo i suoi compagni di viaggio…
«Allora: Danilo (voce) un grande artista e un personaggio introverso; Daniele (batteria) serio, un bravo uomo d’altri tempi; Massimo (basso) è un uomo ‘rock’; Sergio (violini e percussioni) è un grande professionista e Cico (chitarra), un grandissimo musicista».

Luciano Manzotti

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