In cimitero la soldatessa intona "Io vagabondo"
«Io un giorno crescerò, e nel cielo della vita volerò»... è una donna impegnata nell'Esercito italiano che intona la canzone, lasciando stupefatti tutti gli altri. Eppure i presenti già avevano sentito una musica provenire da un computer, a pochi metri da dove rendevano omaggio in silenzio, toccandola, alla bara del sottotenente Giovanni Pezzulo, ucciso dai terroristi in Afghanistan; bara ormai sistemata nel loculo all'interno del cimitero di Oderzo.
La donna con le stellette non era la sola, a cantare, ma non trovava la forza di alzare ancora più il tono; in pochi attimi però, uno dopo l'altro, tutti i presenti hanno compreso le parole che lei pronunciava: «Ma un bimbo che ne sa/ sempre azzurra non può essere l'età... Poi, una notte di settembre mi svegliai, sul mio corpo il chiarore delle stelle: chissà dov'era casa mia, e quel bambino che giocava in un cortile...», ma sì, avevano capito tutti che la strofa seguente era proprio la descrizione di lui, di Giovanni Pezzulo, attraverso le parole dei "Nomadi", il complesso toscano le cui parole hanno sempre toccato problematiche sociali.
Antonella Federici
Al funerale anche Beppe Carletti, il leader dei Nomadi Ieri sera il gruppo ha dedicato un concerto a Pezzulo
«Io, vagabondo che son io, vagabondo che non sono altro, soldi in tasca non ne ho, ma lassù mi è rimasto Dio»: la strofa famosissima la cantavano ormai tutti, decine di persone, un po' in divisa e un po' no, mentre solo i commilitoni erano rimasti a vedere chiudere il loculo con il marmo. A voce alta, ripetendola più e più volte, con le lacrime che scendevano in libertà.
«Io, vagabondo che son io...»: la figlia Giusy, una piccolina con le scarpe d'oro e i jeans, era appena andata via, qualche minuto dopo la madre. In chiesa aveva detto: «Mi manchi, vagabondo». E senza farsi notare, poche ore prima Beppe Carletti, il leader dei Nomadi, era arrivato a Oderzo da Novellara, in provincia di Reggio Emilia, dove proprio ieri sera si celebrava il Nomadi-day, in cui tutti i fan più affezionati festeggiano con il loro complesso. Ieri sera il concerto è stato dedicato a Giovanni Pezzulo, e anche sul sito dei Nomadi è comparsa una frase che lo salutava.
Lacrime contenute a stento, in chiesa, dai militari cui si vedeva andare su e giù il pomo d'Adamo, proprio per ricacciarle indietro davanti a quella bara a terra. Davanti al simbolo di un'ingiustizia così clamorosa da far tremare le vene: perchè? Perchè la morte di una persona così? Perchè quelle raffiche di mitra per poi continuare a vivere tra gli stracci e la polvere di città rase al suolo da bombe e povertà?
All'interno di una chiesa, quelle domande si leggevano chiaramente in faccia a tutti. Perchè. «Il perchè non ci è dato chiederselo», rispondono i sacerdoti; e chi crede, abbassa la testa.
Il Giovanni "vagabondo" che ricorderà per sempre la figlia Giusy era lì a terra, destinato al settimo loculo dal fondo della terza fila... chiuso nel marmo con la sua canzone preferita.
È noto che "I nomadi" hanno sempre lavorato per il sociale; canzoni sugli internati nei manicomi, canzoni sul disadattamento, sulla vita e i suoi problemi, e non tutte "cuore e amore", come nel repertorio di molti italiani. Da 40 anni sulla scena, i Nomadi hanno viaggiato «per far sorridere i bambini» dal '93 in Cile, Cuba, Tibet, Palestina, Messico, Perù, Albania, Amazzonia, Cambogia, Vietnam, Laos, Sumatra e Madagascar ed è probabilmente per questo amore per i piccoli che il sottotenente Pezzulo amava tanto proprio quel complesso.«Io un giorno crescerò, e nel cielo della vita volerò».