MA DIO NON E’ MORTO
Altro che Springsteen. I veri trionfatori dell’estate saranno loro, i Nomadi. Migliaia di fans fedeli li aspettano in cento piazze d’Italia. Il segreto? Impegno e solidarietà.
Macchè Springsteen. Ma quale Vasco. Quest’autunno, quando si tireranno le somme, i veri trionfatori dell’estate non saranno loro. Saranno, come al solito, i Nomadi. Se non ci siete dentro, vi scapperà da ridere, perché magari pensate ai Nomadi come a un relitto degli anni 60. Sbagliato. I maggiori successi di pubblico e vendite, per dire, i Nomadi li hanno raccolti nell’ultimo decennio. Però i giornali questa storia mica ve la raccontano. I giornali vi raccontano i maxi concerti, i bagni di folla, gli stadi pieni per una sera.
Ma ogni sera, anche stasera, e domani sera, e dopodomani sera e così settimana dopo settimana, mese dopo mese, da qualche parte d’Italia, in uno sperduto paesino tra i monti o in una località balneare, in una grande città o in aperta campagna – almeno due-tremila persone si riuniranno attorno a un palco per celebrare il rito del Concerto Nomade. Alla fine, sommi e ti trovi come niente trecentomila spettatori. Uno sfracello.
Da quarant’anni, i Nomadi sono sulla strada. E con loro, è sulla strada il loro popolo. Sono cambiati i musicisti e sono cambiati i fans: quelli che li amarono ascoltando Dio è morto adesso sono padri e nonni, e al concerto ci vengono con i figli e i nipoti. E ogni sera, al concerto, c’è la cerimonia – informatissima – del battesimo “nomade”. Il cantante Danilo Sacco, dà il benvenuto a quelli che, per la prima volta, assistono al rito. E’ l’iniziazione a una laicissima religione che per molti dei convertiti diventerà una piccola-grande ragione di vita.
Quest’estate, da giugno a settembre, i Nomadi suoneranno in più di cento posti: a Genova come a Cagliari, certo; ma soprattutto posti dai nomi assolutamente insoliti per i circuiti del grande rock ( e anche del piccolo, e del medio rock). Zevio, Trebaseleghe, Occhiobello, Montorio Romano, Ponte Rio, Candida, Manolossa, Vermiglio…E so benissimo cosa succederà a Zevio come a Vermiglio: un prato, un campo sportivo, una piazza si riempiranno di gente normale. Impiegati e operai e contadini, studenti e professionisti, capelli grigi e capelli rasta, ragazzine con il piercing all’ombelico e matrone in camicione da casa. E poi, sotto il palco, con striscioni e bandiere, quelli dei fans club della zona. Ci sono 150 fans club dei Nomadi, in Italia. Quindicimila soci. Lo zoccolo duro che dà la linea, che fa schizzare subito in testa alle classifiche ogni nuovo album della band –poi, naturalmente, gli altri si accodano, e comprano, ogni album vende almeno 150 mila copie: e neanche questa ve la raccontano le gazzette estasiate per i successini del divetto di giornata.
Ovvio, è gente a cui piace la musica dei Nomadi; ma ama e condivide anche – forse soprattutto – i messaggi: pace, amore, solidarietà, magari alla buona, ma concreti, senza tanti giri di parole; come si dice adesso, senza se e senza ma. Per molti, il concerto dei Nomadi, è l’unica possibilità di ascoltare musica dal vivo, in paesi dove di solito concerti non se ne fanno; è un’occasione per stare in mezzo agli altri, per uscire con gli amici, per sentirsi bene. E qualcuno si sente talmente bene che di concerti dei Nomadi, in un anno, ne ascolta a decine. Sono gli estremisti, l’equivalente nostrano dei Deadheads che seguivano i Grateful Dead nei loro tour attraverso l’America. Qui, da noi, succede soltanto con i Nomadi: gente insospettabile che prende le ferie per seguire una o due settimane di tornée; gente che al concerto, tra una canzone e l’altra, grida con voce stentorea dei numeri: “Dieci! Venticinque! Quarantasette!”, e tu pensi che stiano giocando a tombola, e invece annunciano al mondo a quanti concerti dei Nomadi hanno assistito. Lo si capisce perché molti superano il 90, e dunque è chiaro che non stanno giocando a tombola. Altri scrivono i loro messaggi su bigliettini che poi i musicisti leggeranno al microfono. I messaggi raccontano piccoli e o grandi ideali, amore per la band o per una certa canzone o per una Luisa o Pina o Jenny, non importa: la chiusa è quasi fissa, “Sempre Nomadi!”, e la dichiarazione suona come un impegno di vita piuttosto serio. C’è poi chi, anziché il biglietto, allunga sul palco un paio di bottiglie, un vasetto di marmellata, un salame. Fa parte dello spirito nomade, il gusto per le cose semplici, per il buon vino bevuto in compagnia, per i sapori di una volta. C’è un fan di Genova che ogni fine agosto, al concerto-raduno di Castagnole Lanze, arriva con il pesto fatto in casa. I musicisti ringraziano. Cico, il chitarrista, è sempre più tondo.
Il popolo nomade ha il culto delle memorie: un vero fan si reca, almeno una volta nella vita, in pellegrinaggio a Novellara, in Emilia, per lasciare un fiore o un biglietto o un oggetto-simbolo sulla semplice tomba di Augusto Daolio, il”Grande Padre” stroncato dal cancro undici anni fa, ma sempre vivo su ogni palco dove suonano i Nomadi, sempre invocato e ricordato insieme con Dante Pergreffi, l’altro nomade morto in servizio. Perché, se non vogliamo metterla giù dura parlando di religione laica, i Nomadi sono come una squadra di calcio: i giocatori cambiano, ma per i tifosi conta l’attaccamento alla squadra, e il ricordo dei campioni del passato vive insieme con la passione per chi scende in campo adesso. Oggi i titolari sono sei: Beppe Carletti tastierista, la vecchia quercia superstite della prima formazione, poi i due ormai veterani Daniele Campani batterista e Cico Falzone chitarrista; Danilo Sacco non è il sostituto di Augusto (e chi oserebbe?) ma canta da quando Augusto nonc ‘è più; e da pochi anni sono entrati il bassista e seconda voce Massimo Vecchi e il polistrumentista Sergio Reggioli. Prima di loro ne sono passati tanti, forse altri verranno domani: l’importante è che la storia continui. E la storia non è una piccola storia di musica e passione. E’ anche – principalmente? – una storia di impegno dalla parte dei più deboli. Spiego. I fans club dei Nomadi non sono normali fans club di maniaci che si scambiano le foto del divo, o roba del genere. Ogni fans club dei Nomadi è, prima di tutto, un nucleo di volontariato militante e si fa carico di contribuire a unod ei progetti di solidarietà che la band abbraccia, indicando metodi e obiettivi: materiale didattico per le scuole di Cuba, un centro di accoglienza per donne e bambini in India, una casa per piccoli Cambogiani vittime delle mine, adozioni a distanza..Se un fans club trascura l’obiettivo, se mostra di fregarsene, è fuori.
Vadano a fare i fans di qualcun altro. Quando si raccoglieva il materiale scolastico per Cuba, a ogni concerto, sul palco si accumulavano scatoloni di quaderni, matite penne a sfera. Ma lo stesso impegno vale per i tibetani esiliati dal comunismo cinese. Dove c’è gente in difficoltà, il popolo nomade si rimbocca le maniche, e stop. Non so se esistono altre organizzazioni di volontariato così numerose e capillarmente diffuse. Se sì, sono contento. Se no, pazienza. Tanto, ci sono i fans dei Nomadi.
Gabriele Ferraris