tratto da "panorama"


Tour da tutto esaurito, un disco da hit parade, un libro-diario e 170 fan club. Dopo lutti, crisi e 43 album, il gruppo più longevo delle scene torna ai vertici. E qui svela il suo segreto: non fermarsi mai.

La tavola imbandita sotto il portico d'una casa di campagna trasformato in veranda. E attorno le voci amiche, il viavai dei familiari, il tepore domestico, il clangore delle stoviglie e dei piatti dove sono già spariti i cappelletti in brodo, buonissimi, versati direttamente da una grossa forma di parmigiano scavata all'interno.
Seduto con l'aria tranquilla ma determinata che non l'abbandona mai, Beppe Carletti ha l'aria del patriarca soddisfatto, a metà fra il rezdòr delle vecchie famiglie contadine e il farmer con Bibbia e pistola dei western americani. Da fuori arriva lo sferragliare d'un trenino, i cani gli abbaiano dietro.
La casa di Beppe, una bella dimora rustica, vasta e comoda, con annessa palestra per tenersi in forma, sorge proprio dietro la stazione di Novellara, nel cuore della Bassa reggiana. Qui il leader dei Nomadi, la rockband più longeva del pop italiano, si riposa mezza giornata fra una tappa e l'altra del tour iniziato a Genova il 31 gennaio: «Andremo avanti fino a settembre, poi via di nuovo da fine novembre, per chiudere con l'ultimo dell'anno: 150 concerti, migliaia e migliaia di chilometri macinati sulle strade, altroché frottole. È sempre stato il nostro stile», sorride Beppe, «Perché noi siamo i diesel della canzone italiana. A volte acceleriamo,altre rallentiamo, ma non ci fermiamo mai».
È chiaro che questo cinquantasettenne energico e calmo, inossidabile sotto il basso profilo che ama tenere, si diverte ancora. Eccome. E ne ha tutti i motivi. Per i Nomadi la svolta dei quarant'anni si sta rivelando una stagione d'oro. L'anno scorso sono stati al primo posto in classifica con Amore che prendi, amore che dai. E mentre qui a Novellara si prepara l'ottava edizione del Tributo ad Augusto Daolio, che si svolgerà il 14 e il 15 febbraio, ed è già in gestazione il nuovo disco previsto per settembre, il 24 febbraio uscirà da Mondadori Nomadi - Augusto & altre storie, firmato da Carletti con il giornalista Massimo Cotto.
Si tratta di un'illustratissima «autobiografia di gruppo» dove Beppe è il portavoce accreditato, ma certo non l'unico protagonista di una favola iniziata molti anni fa tra le brume padane quando una band di ragazzini, i Sei Nomadi, ex Monelli, sostituì il cantante Gastone, da Bondeno di Mantova, con un giovanotto di Novellara dinoccolato e occhialuto, presto anche barbuto, con l'aria tra il pittore bohémien e il profeta, che si chiamava Augusto Daolio.
Una grande presenza scenica, una voce inconfondibile: «Come potete giudicar/ come potete condannar/ Chi vi credete che noi siam / per i capelli che portiam» si sgolava Augusto sulle note di The Revolution Kind di Sonny Bono. Era il 1966 e i Nomadi partecipavano al Cantagiro. Bastarono barbe e capelli lunghi, per trasformare la blanda protesta generazionale di Come potete giudicar in un successo di scandalo. Poi venne la collaborazione con Francesco Guccini, Dio è morto censurata dalla Rai e diffusa invece dalla radio vaticana. Cominciava la leggenda dei Nomadi, che dura ancora. In mezzo, gli alti e bassi della fortuna, le defezioni (del gruppo originario è rimasto oggi il solo Carletti), la tenacia nell'andare avanti a tutti i costi anche quando le mode sembravano condannare la band al declino. E poi, nel fatidico 1992, la scomparsa del bassista Dante Pergreffi in un incidente e di Augusto Daolio per malattia.
Un colpo terribile. Come se gli Stones fossero rimasti senza Mick Jagger. «Con la morte di Augusto» si rammarica Carletti «io ho perso un'amicizia trentennale e i Nomadi il loro capo carismatico. Ma forse è ancora lui che ci guida. È stato molto difficile andare avanti. C'era chi voleva dimezzarci il cachet dicendo che, senza Augusto, valevamo la metà. Se abbiamo resistito, lo dobbiamo senz'altro a lui, a quello che aveva seminato. Ma penso che anche Augusto ci debba qualcosa. Se avessimo smesso di suonare, oggi la gente si ricorderebbe meno di lui».
Beppe, di sicuro, non lo dimentica. Alle pareti di casa sua sono appesi quindici quadri di Augusto: «Lo chiamavo "imbrattatele", ma in realtà ho sempre amato i suoi dipinti, soprattutto quelli a china. Tredici glieli ho regolarmente pagati, ma il mio preferito l'ho avuto in regalo». E addita un quadro che raffigura una chiesa: «È una specie di ex voto. Augusto me lo portò il giorno dopo un incidente d'auto evitato per miracolo, mentre tornavamo da un concerto».
L'ex voto di Daolio ha portato fortuna al gruppo. «Oggi abbiamo 170 fan club sparsi per l'Italia, un numero incredibile, e li visitiamo a turno. L'unico obbligo che imponiamo loro» spiega Beppe «è di impegnarsi nella solidarietà». Perché i Nomadi non hanno paura di passare per «buonisti». Girano il mondo dalla Cambogia all'Iran, dall'Albania all'Amazzonia, da Cuba al Messico, portando aiuti concreti ed esibendosi in concerti benefici. Davanti a Giovanni Paolo II, come al cospetto del Dalai Lama: «Perché certe esperienze spirituali vanno al di là delle confessioni religiose».
Oltre a Beppe, oggi la band è composta da Danilo Sacco, Cico Falzone, Daniele Campani, Sergio Reggioli e Massimo Vecchi. «Quanto dureremo ancora? Non poniamo limiti alla Provvidenza!» Ma dietro l'ottimismo di Carletti c'è una dura fatica quotidiana. Altroché Jack Kerouac e Beat Generation: la vita «on the road» è fatta di cene frugali, colpi di sonno, ritorni a casa nel cuore della notte, in mezzo alle nebbie della pianura dove vagava fra gli argini il pittore Antonio Ligabue, «al mat, occ de gat, c'la vest al dievel», il matto occhi di gatto che ha visto il diavolo, come cantavano i Nomadi nel loro dialetto. E ancor oggi la via di casa passa per quelle che un altro Ligabue, il rocker Luciano, chiama «le strade blu dell'Ameribassa». Dove i Nomadi ricaricano il loro diesel, pronti ogni volta a ripartire per nuove avventure. Vagabondi che non sono altro.

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